Pensiero correlativo e pensiero subordinativo

Nel pensiero correlativo i concetti non sono classificati gerarchicamente, ma posti uno a fianco all’altro in uno schema (pattern), e le cose si influenzano l’un l’altra non per causalità meccanica, ma per una specie di “induttanza”.

(Joseph Needham)
Gupajuhe - I Ching Mandala

Diversi studiosi moderni – H. Wilhelm, Eberhard, Jablonsky e soprattutto Granet – hanno chiamato il tipo di pensiero con cui abbiamo qui a che fare “pensiero correlativo” o “pensiero associativo”. Questo sistema intuitivo-associativo ha la sua propria causalità e la sua propria logica. Non è né superstizione, né tanto meno superstizione primitiva, ma piuttosto una forma di pensiero caratteristica di per sé.
H. Wilhelm la mette a confronto con il pensiero “subordinativo” tipico della scienza europea, che pone grande enfasi sulla causa esterna. Nel pensiero correlativo i concetti non sono classificati gerarchicamente, ma posti uno a fianco all’altro in uno schema (pattern), e le cose si influenzano l’un l’altra non per causalità meccanica, ma per una specie di “induttanza”…
La parola chiave nel pensiero cinese è Ordine e soprattutto Schema (e, se posso suggerirlo per primo, Organismo).
Tutte le correlazioni o corrispondenze simboliche formano parte di un unico colossale Schema. Le cose si comportano in modo particolare non necessariamente a causa di azioni precedenti o di impulsi dovuti ad altre cose, ma perché la loro posizione in un universo in continuo movimento ciclico è tale per cui vi sono indotte dalla natura intrinseca che rende quel comportamento per loro inevitabile. Se non si comportassero in quel modo specifico perderebbero la loro posizione relazionale col tutto (che le rende ciò che sono), e si trasformerebbero in qualcosa di diverso da sé. Esse sono dunque parti che dipendono funzionalmente dall’intero mondo-organismo. Ed esse reagiscono l’un l’altra non tanto per impulso meccanico o causalità quanto per una sorta di misteriosa risonanza.

(tratto da Joseph Needham, Science and Civilization in China, II, Cambridge University Press, 1962, pag.280-281. Traduzione di Valter Vico)

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